🌸 Un altalena, un ciliegio giapponese, e la dolcezza di una nonna che culla Leyla in un rifugio di calma.
⚔️ Nel buio della notte, una madre risveglia il coraggio dei samurai e promette: "Non mi fermerò finché non ti avrò con me."
✦✧✦✧✦ 𝓛𝓮𝔂𝓵𝓪 ✧✦✧✦✧
La nonna cullava Leyla sull'altalena con mani calde e sicure, in un dondolio lento e dolce.
Evelyn, dalla veranda, alzò gli occhi dal libro e sorrise, un sorriso che illuminava il giardino.
L'altalena, appesantita al vecchio ciliegio giapponese, era il rifugio incantato di Leyla, dove le paure svanivano nel silenzio melodioso. Il movimento oscillante la trasportava in un mondo magico, lontano da ogni ombra.
Evelyn sembrava intuire sempre il suo bisogno di solitudine o di compagnia, un legame invisibile che superava le parole.
L'albero di Sakura fiorito, scelto da Evelyn per la sua bellezza e il suo significato: coraggio, lealtà, onestà, le virtù di un samurai.
Leyla amava quell'albero, sentendo quelle qualità fluire in sé a ogni dondolio.
La brezza leggera dell'altalena le accarezzava il viso.
Leyla osservò Evelyn alzarsi dalla veranda con grazia eterea, fluttuare sull'erba in un'aura dorata. Si avvicinò e, senza muovere le labbra, parole magiche risuonarono nell'aria:
"Ovunque tu sia, noi ci saremo... esplora la tua mente e libera il dono che è in te!"
Svegliati, Leyla! Torna indietro, figlia mia! Leyla!"
Le parole materne si dissolsero come foglie nel vento, inghiottite da un vortice oscuro.
Poi, un silenzio denso, quasi palpabile.
E subito dopo, il buio. Totale. Avvolgente. Senza luce né speranza.
Leyla si svegliò di colpo, il corpo trafitto da fitte lancinanti. Gli occhi sbarrati, la mente prigioniera da nebbia e oscurità. Nausea allo stomaco, un peso opprimente. Un dolore pulsante alla testa, eco distorto del suo cuore. Gambe e braccia inerti, legati da catene invisibili.
L'odore sconosciuto la soffocava: chiuso, statio, con una traccia sottile di mobilio nuovo, legno fresco e vernice. Un profumo che le serrava la gola come un nodo.
Sforzandosi di tenere gli occhi aperti, lottò contro le palpebre pesanti, muovendoli lenti, da destra a sinistra, dall'alto al basso, per non affaticarli. Ma vide solo ombre indistinte, forme danzanti ai margini della vista, spettri nel buio.
Invano cercò di mettere a fuoco. Il mondo le sfuggiva, un sogno che si frantuma al risveglio. E poi, un'onda oscura la travolse di nuovo, strappandola alla coscienza, risucchiandola negli abissi del sonno.
***
Evelyn giaceva inerte a terra, stringendo con forza la bicicletta di Leyla. Il tempo sembrava stare coagulato, ogni secondo un'eternità silenziosa. Un lungo torpore l'avvolgeva, finché la nebbia di dolore e disperazione cominciò a diradarsi, lasciando spazio a un pensiero limpido. Solo allora si rese conto dei brividi del freddo, dei vestiti fradici che le aderivano addosso, e della necessità di aggrapparsi a qualcosa di razionale. Nel cuore del caos, una scintilla si riaccese. Non poteva cedere. Non avrebbe permesso al maschio di trionfare. Leyla aveva bisogno di lei, e lei avrebbe sfidato l'impossibile pur di riportarla a casa.
Con uno sforzo titanico sollevò le gambe tremanti ma risoluta. Mantenne lo sguardo fisso oltre la pioggia, nel buio, come se la figlia l'attendesse da qualche parte.
"Arrivo, Leyla," sussurrò con la voce spezzata, ma carica di una volontà incrollabile. "Arrivo."
Non voleva perdere tempo. Ogni secondo era un secondo in più di solitudine per sua figlia. Doveva agire, proteggerla, riportarla a casa. A qualunque costo. Inspirò a fondo e si rimise in piedi, ignorando il gelo che la trapassava.
Paura, angoscia, dubbio: tutto messo da parte. Un solo obiettivo: ritrovare Leyla!
La determinazione bruciava nei suoi occhi come una fiamma inestinguibile. Con ogni fibra del suo essere, Evelyn invocò il dono che da sempre la accompagnava, pronto a emergere nelle ore più buie.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sull'energia sottile che ancora aleggiava intorno alla bicicletta, quasi sentendo sul metallo il residuo calore di Leyla.
Un istante, e subito dopo una visione si materializzò.
Leyla era viva. Ma in pericolo.
Un lampo, fugace ma nitido, attraversò Evelyn. Un sollievo improvviso le sciolse il petto, seguito da un'ondata di gratitudine e da una forza nuova che le incendiò il cuore.
Leyla dormiva, sospesa in un limbo tra vita e morte. Ma quella visione... era un faro nell'oscurità, un raggio di speranza nella notte più buia. Evelyn sapeva che avrebbe lottato con ogni fibra del suo essere per raggiungerla.
Rientrata in casa, Evelyn varcò la soglia come sospinta da un sogno ovattato. Si spogliò con gesti lenti, quasi inconsapevoli, lasciando che gli abiti fradici scivolassero sul pavimento. Il freddo le si era annidato dentro, come una lama sottile nelle ossa.
Si rifugiò sotto una doccia bollente, sperando che il calore le lavasse via anche la tensione. Poi si avvolse in un accappatoio blu, trovando un briciolo di conforto nella sua morbidezza.
In cucina, verso dell'acqua per una tisana. Mentre il bollitore cominciava a sibilare, Evelyn fissava il vapore sollevarsi in spirali leggere, simili al respiro di fantasmi. Solo allora si rese conto di quanto stesso tremando.
Quando finalmente la tazza calda fu tra le sue mani, la strinse con forza, come a voler assorbirne la quiete, il calore, l'equilibrio.
"Calma. Lucidità", mormorò, ripetendo le parole come un mantra.
Bevve a piccoli sorsi, lasciando che il sapore tiepido e amarognolo la ancorasse al presente. Solo allora si alzò.
Prese carta e penna, si avvicinò al tavolo e, con gesto deciso, si sedette a scrivere. Doveva pensare. Doveva agire. Doveva avere un pianoforte.
Tracciò le prime righe con mano ferma, poi le meno a voce alta, come se pronunciarle potesse renderle vere, solide, attuabili.
Uno: Polizia. Denuncia ufficiale.
Attenta alle parole. Se parlo delle visioni, penseranno che abbia perso la testa.
Due: Amici fidati.
Chi può davvero aiutarmi? Non posso farcela da sola.
Tre: Indagare. Subito.
Non ho il lusso di aspettare che si muovano le autorità. Il tempo è il mio peggior nemico. Leyla è viva. E io la troverò.
Si alzò di scatto, stringendo il foglio come se fosse una mappa verso la salvezza.
"Devo agire. Adesso. Non lascerò che il panico mi inghiotta. Sono una madre, e niente al mondo mi fermerà finché non riavrò mia figlia."
La voce si spezzò. Evelyn si coprì il volto con le mani, piegata su se stessa come se il peso dell'assurdo stesso per schiacciarla.
"Leyla... Dio mio, non riesco a crederci. Sei stata rapita. Ma da chi? Perché?"
Alzò lentamente lo sguardo verso la finestra. Oltre il vetro, il cielo buio brillava di stelle, lontane e indifferenti. Ma non erano loro che cercava. Nella mente le apparve l'immagine di sua madre: quel sorriso quieto, quello sguardo che sapeva sempre dove guardare, anche nel caos.
"Mamma..." sussurrò, con un filo di voce.
"Dammi tu il coraggio. Non posso farcela da sola."
Poi il pensiero la colpì come un sasso nello stomaco: i vicini. Soprattutto la signora Pina, impicciona e onnipresente. Un piccolo Sherlock Holmes da pianerottolo, pronta a trasformare ogni sussurro in un urlo di quartiere. Le scesero nuove lacrime, al solo pensiero dell'assalto di domande, dell'invasione della sua intimità. E della paura più grande: non avere lo spazio e la calma necessari per restare connessa a Leyla.
Inspirò a fondo. Si asciugò le lacrime. E si raccolse. Non poteva cedere allo sconforto. Doveva trovare la forza. Per affrontare i giorni oscuri che l'attendevano.
Per Leyla. Per sé.
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