Verità Non Vissuta

Verità Non Vissuta

Capitolo Uno

                              Capitolo Uno

Il risveglio nel vuoto

 

Un clic spezzò il silenzio, e la stanza si illuminò di colpo.

«Mi hai spaventato!»

Kit indietreggiò, portandosi una mano al petto, il respiro affannato per l’improvvisa accensione della luce.

Song incrociò le braccia, fissandolo con occhi gelidi. La sua voce, dura e tagliente, ruppe l’atmosfera.

«Sai che ora è? Dove sei stato?»

Kit rispose con tono secco:

«Non è un tuo problema. Non devo rendere conto dei miei spostamenti.»

Song fissava il borsone sportivo appoggiato contro la porta della cucina. Passò accanto al fratello, gli diede una leggera pacca sulla spalla e respirò profondamente, sentendo il cuore battergli forte nel petto. Prese il borsone, lo aprì e trovò qualcosa di inaspettato: i guanti e il casco da corsa. Kit era andato a correre all’ippodromo.

Song li osservò a lungo, ricordando l’ultima volta che avevano corso insieme. Un nodo gli si strinse allo stomaco. Con calma, chiese di nuovo a Kit dove fosse stato, ma intuì che stava mentendo.

«Non sei andato all’ippodromo stasera?»

Song lanciò il borsone sportivo ai piedi di Kit e disse:

«Che cosa sono quelli? Dimmelo, Kit.»

«Beh, non come pensi,» rispose Kit.

«Ah no? Sono i guanti e il casco che ti ho regalato per il tuo compleanno. Me li ricordo molto bene.»

Gli occhi di Kit si riempirono di lacrime mentre sussurrava:

«Perché non mi credi?»

Non aveva mai alzato la voce con suo fratello in quel modo.

«Non è che non ti creda, ma hai mentito.»

La pioggia batteva incessante contro la finestra, ma il silenzio che seguì le parole di Kit fu ancora più pesante, più cupo.

«Ti odio,» disse Kit, la voce appena un respiro, «più di ogni altra cosa al mondo.»

Il dolore era palpabile, un’ombra oscura che avvolgeva entrambi.

Con un gesto impulsivo, Song schiaffeggiò Kit con forza. Un suono secco risuonò nell’aria, e Kit vacillò all’indietro, portandosi istintivamente una mano alla guancia.

Song rimase immobile, gli occhi spenti, lo sguardo perso nel vuoto.

Kit si allontanò lentamente, cercando di dare senso a quanto era appena accaduto. Il silenzio che ne seguì era opprimente, quasi amplificato dal rumore della pioggia che batteva con violenza contro i vetri.

Song, la voce roca e piena di rimorso, ruppe il silenzio:

«Kit, non volevo farti del male,» sussurrò, evitando il suo sguardo. «Ho sbagliato, non sono stato un buon fratello.»

Una lacrima scese lungo la guancia di Kit mentre lo fissava.

«Come puoi aspettarti che ti perdoni dopo quello che mi hai fatto?»

Song si lanciò all’inseguimento di Kit, ma il fratello, già in cima alle scale, corse via sbattendo la porta con violenza. La pioggia batteva sul tetto con fragore assordante, in contrasto con il silenzio opprimente che ora regnava nella casa.

I colpi di Song sulla porta erano deboli, inutili. La disperazione lo sopraffecce, e si accasciò a terra, la schiena contro il legno freddo, le braccia strette intorno alle ginocchia, piccolo e fragile come un bambino.

La mente di Kit è intrappolata in un labirinto di ricordi e illusioni, incapace di distinguere il sogno dalla realtà. È intrappolato in un vortice di ricordi confusi che gli impediscono di tornare alla realtà.

Due settimane dopo

Un uomo dall’aspetto losco entrò nell’ospedale internazionale Bumrungrad, a Bangkok. Iris, intenta a curarsi le unghie all’ingresso, non si accorse del suo arrivo; era troppo concentrata. Impaziente, l’uomo tamburellò le dita sul bancone della reception, attirando finalmente la sua attenzione. Infastidita, Iris alzò lo sguardo. L’uomo, dopo essersi schiarito la voce, disse:

«Qual è la situazione del paziente nella stanza 123? È ancora in coma?»

La domanda era sospetta. Iris lo squadrò, pensosa.

Quest'uomo mi crea disagio. È necessario che io intervenga; altrimenti, rischio il licenziamento e ho una famiglia da mantenere.

Quell’uomo le incuteva un senso di profondo disagio. Iris cercò di nascondere la sua agitazione, ma la voce, tradendo il suo turbamento, sussurrò appena:

«Sì.»

«Scusi, chi è? È un parente del paziente?»

L’uomo si schiarì la voce, rimase in silenzio un attimo, e poi rispose:

«Sono Khun Ek e sono qui per conto di qualcuno… devo sapere se il paziente, nella stanza 123, si è svegliato. È davvero importante.»

L'interesse per il risveglio di Kit era insolito, quasi inquietante. Chi avrebbe mai voluto sapere con tanta insistenza se aveva ripreso conoscenza? Un brivido percorse la schiena della donna. I suoi occhi si posarono sull'uomo, che la osservava con uno sguardo penetrante, quasi minaccioso, come se cercasse di penetrare nei suoi pensieri più reconditi. La sua presenza era opprimente.

Mentre Iris rispondeva, le sue mani tremavano leggermente…

«Mi dispiace, signore, ma non ho informazioni al riguardo. Le cartelle cliniche sono riservate.»

Ek sorrise, un sorriso che non raggiunse gli occhi. «Capisco,» disse, ma la sua voce era piena di un’ansia nascosta. «Ma qualcuno deve pur sapere.»

«Non posso fornire informazioni personali sul paziente. Si tratta di dati riservati e protetti dal segreto professionale. Se non è un familiare, la prego di lasciare l'ospedale.»

Mentre discutevano, un amico di Kit passava di lì. Ascoltò la loro conversazione per caso, si fermò e volle ascoltare fino alla fine. Si sedette su una sedia, prese una rivista e la mise davanti agli occhi per non essere notato. Ek era così ostinato che strattonò la donna con forza, ma lei rimase calma. Dentro di sé, però, aveva paura. Aiuto… lasciami andare…

Ek era così ostinato che alzò la mano per schiaffeggiarla. Iris, intuendo l’imminente colpo, chiuse gli occhi stretti.

«Risponda. È il suo lavoro? Altrimenti, le conseguenze saranno... spiacevoli.»

«Aiuto... lasciami andare...» sussurrò Iris, la voce soffocata. Se non mi lascia andare, morirò.

Mentre stava per schiaffeggiarla, il giovane si alzò di scatto dalla sedia, gettò la rivista a terra, afferrò il braccio dell'uomo e lo strattonò con forza, facendolo barcollare e cadere.

«Come osi toccarla?! Sei un verme! Ti ha detto di no, e continui a importunarla. Se le fai del male, te la farò pagare cara.»

Ek sibilò minaccioso:

«Chi credi di essere per intrometterti? Non ti riguarda. Non pensare di poter agire impunemente, anche se sei un ragazzino.»

Tong rispose con un tono di sfida, incrociando le braccia:

«La mia identità non è importante. Stavo passando di qui quando ho assistito all'aggressione. Ho già contattato la polizia. Non tenti di scappare.»

Un calcio secco e preciso fece cadere l'uomo. Seguì una tempesta di colpi, una furia incontrollata. Tong lo afferrò per i capelli, sollevandolo di poco da terra. I pugni si abbatterono sul suo volto, deformandolo. Il sangue schizzò ovunque. Tong si chinò, sussurrando vicino all'orecchio:

«Stai lontano dal mio amico. Se ti avvicini, sarai morto prima dell'arrivo della polizia. E avverti chi ti ha mandato: lo troverò, e sarà la sua fine. Capito?»

Iris era pietrificata, gli occhi spalancati, tremava incontrollabilmente. Tong le rivolse un sorriso rassicurante e le chiese con calma: Iris era pietrificata, gli occhi spalancati, tremava incontrollabilmente. Tong le rivolse un sorriso rassicurante e le chiese con calma:

"Si sente bene?  Mi dispiace moltissimo, non volevo che vedesse una cosa del genere.  Le ha fatto male?"

Iris balbettò: «No, no, sto bene… credo», ma i lividi viola e gonfi sul suo collo raccontavano una storia ben diversa. L'uomo aveva chiaramente tentato di strangolarla; solo il tempestivo intervento di Tong l'aveva salvata da una morte certa.  Pochi minuti dopo, il silenzio della notte fu spezzato dalle sirene della polizia in avvicinamento. Gli agenti arrivarono sul posto, arrestando l'aggressore, che trascorse una lunga notte in cella.

Un grido soffocato, uno stridore acuto, lacerò il silenzio ovattato della stanza. La maniglia della porta si mosse. Kai si avvicinò con cautela.

Il respiro affannoso di Kit, amplificato dai tubi, era l'unico suono che rompeva la tetra quiete. I suoi occhi si posarono sui macchinari che lo tenevano in vita: un groviglio di fili e pulsanti.

Con un movimento rapido e silenzioso, Kai staccò un tubo. Un bip acuto, un segnale d'allarme, echeggiò nella stanza. Il respiro di Kit divenne debole, irregolare.

La porta si aprì: un uomo in camice bianco entrò. Teneva una pistola. Prima che potesse agire, Kai reagì istantaneamente, estraendo la propria arma. Un colpo secco, silenzioso e letale. L'uomo crollò senza un suono.

Kai, con rapidità, gli tolse il camice, lo trascinò nel bagno, lasciando una scia di sangue. Chiuse la porta, tornò da Kit, si chinò e sussurrò all'orecchio:

«Scacco matto.»

Un sussurro indistinto aleggiava nei corridoi. Kit era sull'orlo di un arresto cardiaco.

Per non farsi notare, Kai indossò il camice rubato e lasciò la stanza con passo silenzioso. Camminando, estrasse un biglietto da una tasca. I loro sguardi si incrociarono in un lungo, intenso silenzio.

Con un gesto impercettibile, gli porse il biglietto e, chinandosi, sussurrò:

«Ho fatto la mia parte. Ora tocca a te.»

Uscito dall'ospedale, si tolse il camice e lo gettò in un cassonetto vicino. Dalla tasca dei pantaloni estrasse un accendino, incendiò un lembo del camice e gettò i resti nel cassonetto. Accese una sigaretta, la fumò, fissando a lungo le fiamme. Poi si avviò tra le strade buie di Bangkok. Taxi introvabili. Il cellulare vibrava insistentemente.

Lo estrasse e rispose con irritazione: «Pronto?» sbottò Kai, visibilmente infastidito.

Il suono stridente del clacson lo fece sobbalzare. Borbottò tra sé, voce roca e rauca come un gracchio: «Perché non mi lascia in pace? È uno stupido, e io, come sempre, cedo.»

Un brivido, misto eccitazione e fastidio, lo percorse. «Mi illudo sempre che mi piaccia essere inseguito, è strano… forse è vero. Devo smetterla, davvero, questa volta» si disse con un sussulto.

Abbassò il finestrino. Dalla macchina usciva musica; si intravedeva solo il viso del conducente, intento a fumare una sigaretta. Estrasse una mano dal finestrino e picchiettò sulla portiera: «Sali. Non farmelo ripetere!»

Un solo lampione illuminava debolmente la macchina; la zona era desolata, ma non del tutto disabitata. Alcuni spacciatori, attivi solo in quel punto, si aggiravano lì. Altrove sarebbero stati uccisi, i loro corpi scomparsi senza lasciare traccia. L’autore degli omicidi era ignoto, e la polizia thailandese, impreparata, non sapeva come agire.

Kai fece il giro della macchina e aprì la portiera. Sentì i feromoni di Hia e pensò: «Che stronzo! Perché proprio ora che sono in calore? Mi sento strano, debole.»

Appena si affacciò, Hia lo afferrò per un braccio e lo trascinò dentro. «Hia! Lasciami! Mi fai male! Stai stringendo troppo forte, mi stai lasciando il segno!»

Hia mollò la presa. Un clic: le portiere si erano chiuse. Kai era intrappolato, in calore, senza le pillole per i feromoni.

«Dove credi di andare? Ho bloccato le portiere! Meriti una punizione per la tua sconsideratezza stasera. Ho fatto in modo che il direttore dell'ospedale distruggesse le prove. Senza di me, saresti già in carcere. Non ripetere mai più simili azioni. Ricorda… mi appartieni!»

Hia gli afferrò il collo, tirandogli i capelli. Con un movimento deciso, gli aprì la bocca con la lingua e lo baciò a fondo, un bacio violento e appassionato. Kai tentò di divincolarsi, ma le forze lo abbandonarono. L'intensità del bacio lo prosciugava di ogni energia. Cedendo alla follia e alla tentazione, Kai si mise a cavalcioni sulle gambe di Hia. Con un rapido movimento, Hia afferrò i fianchi di Kai e gli scese la cerniera dei jeans.

La pelle mi brucia, quasi ruvida al tatto, un calore che mi eccita. La sua mano sotto la maglietta, sulla pelle rovente, mi stuzzica, anche se vorrei che si fermasse. Vorrei solo essere divorato, posseduto, violentemente preso. Dannazione, non resisto più! Il mio corpo anela a essere invaso, a sentire la sua presenza dentro, il suo membro che mi riempie.

«Cosa mi hai fatto? Mi hai drogato. Ti ucciderò.»

«Ho appena sfiorato il tuo ano con un dito e tu hai già raggiunto il piacere. Ammettilo, ti manca il mio tocco. Dillo. Voglio sentirtelo dire con quella tua voce che mi implora. Conosco il tuo corpo, i tuoi punti più sensibili; sei un libro aperto per me. Vuoi che sostituisca questo dito con il mio pene? È questo che stai pensando?»

«Va' a farti fottere, Hia!» disse Kai.

«Mi odi? Il tuo corpo dice il contrario. Non fingere. Avresti potuto respingere il mio bacio, ma non l'hai fatto. Sapevi che genere di persona sono, eppure dici di odiarmi? Cosa ti aspettavi? Non posso cambiare. Non provo nulla per te.»

Kai rimase immobile, lo sguardo perso nel vuoto. Sono uno stupido, un idiota! Credevo ci fosse qualcosa tra noi… qualcosa di vero. Pensavo di essere più di un semplice giocattolo, di un'avventura. Ma le tue parole, “Non provo nulla per te”… mi hanno distrutto.

«Dimmelo, prima che cambi idea: mi odi, o vuoi solo sesso?»

Quel bastardo riesce sempre a manipolarmi, costringendomi a scegliere… Lo adoro e lo detesto allo stesso tempo. Sono lacerato da un’angoscia terribile, tra piacere e desiderio. Mi sale una nausea fortissima, un misto di eccitazione e attrazione. Sono prigioniero di un gioco perverso, senza via d’uscita. La sua voce, la sua presenza… persino la sua assenza… mi tormentano. Mi sento sporco, usato, eppure… una parte di me desidera ancora il suo tocco, la sua attenzione, pur sapendo che sarà solo altra intensità.

«Non osare. Se lo farai, non ti perdonerò mai.»

«Rilassati. Questa volta sarò delicato. Non opporti.»

 Gli occhi di Kai si riempirono di lacrime, mentre la droga gli annebbiava il cervello, lasciandolo inerme di fronte al desiderio irrefrenabile.

«No! Per favore, non farlo! Non voglio farlo!» gridò, le lacrime agli occhi.

«Il mio dito ha appena sfiorato la tua intimità e tu hai già raggiunto il culmine. Ammetti che hai desiderato la mia presenza, il mio tocco profondo» sussurrò Hia. «Dimmelo, con quella voce che mi inebria, che mi supplica di penetrarti. So cosa provi, conosco ogni tua reazione, ogni tuo sussulto. Il tuo corpo è un enigma che ho imparato a decifrare. Vuoi che il mio corpo si unisca al tuo? È questo che senti?»

«Hia, sei proprio uno stupido!» ribatté Kai, la voce tremante. «Perché questa ossessione per me? Ci sono altri ragazzi con cui potresti scopare, ma perché proprio io? Cosa ti trovo di così interessante? Il mio corpo, da usare e buttare? Basta. Non sopporto più i tuoi tentativi di drogarmi e violentarmi.»

Non è colpa mia… pensò Hia. Non sono io a provare queste cose, è la droga che mi controlla… ma… perché proprio lui? Perché lo desidero così tanto? Lo desidero… ma mi sento così male, così sporco.

Le dita di Hia, calde e sicure, si posarono sui fianchi di Kai, sollevandolo leggermente per facilitare l’ingresso. Duro e pulsante, il suo pene cercò l’apertura, scivolando lentamente dentro a Kai in un vortice di piacere crescente. Ogni spinta, sempre più profonda e veloce, accendeva un fuoco dentro Kai.

La pelle di Kai era bagnata, tesa, vibrante; ogni nervo acceso da un piacere così intenso da fargli sfuggire gemiti che si trasformarono in urla, un grido selvaggio che si mescolava al respiro affannoso di Hia. L’orgasmo li travolse in un’esplosione violenta, un’ondata di piacere che li lasciò esausti e uniti. Il corpo di Kai era completamente ricoperto di segni e morsi, soprattutto sulle braccia e sulle cosce. Ma per Hia non era abbastanza. Continuò.

«Dentro di te, il piacere è così intenso» sussurrò Hia. «Ogni mia spinta mi fa tremare, sei così stretto! Ogni volta che raggiungo il tuo punto più sensibile, tu mi respingi… Devo perdermi completamente in te, voglio sentirmi dentro di te fino in fondo.»

Hia lo sollevò; il corpo di Kai si adattava al suo pene come una perfetta estensione, una curva sinuosa sotto le sue mani. Lo cavalcò con un ritmo lento e profondo che faceva vibrare ogni fibra del loro essere.

Il pene di Hia scivolò dentro Kai, una penetrazione lenta e sensuale, unione di carne calda e bagnata. I gemiti di Kai, sommessi e pieni di piacere, erano musica per le orecchie di Hia, spingendolo a penetrare ancora più a fondo, esplorando ogni angolo del suo corpo.

La tensione raggiunse il culmine in un’esplosione di piacere che bagnò il dorso di Hia con lo sperma di Kai.

L’interno della macchina era stretto, caldo e carico di tensione. I corpi si intrecciavano, un’intimità improvvisa e appassionata che li travolgeva. Il respiro affannoso si mescolava al suono della pioggia contro il parabrezza.

Hia tracciò con un dito il percorso del liquido seminale sul petto di Kai, un gesto lento e delicato. Il sapore era dolce, intenso, un sapore che gli rimase impresso sulla pelle e sulla lingua. Prese una piccola quantità di sperma tra le dita e, con un sorriso malizioso, lo avvicinò alle labbra di Kai.

«Apri…» sussurrò Hia, la voce roca dal desiderio, le parole appena udibili sopra il battito accelerato dei loro cuori.

«Assapora… assapora il tuo stesso sapore… dimmi… dimmi se ti piace…»

La bocca di Kai si aprì, un gesto riluttante ma inevitabile, attratto da una forza più potente della sua volontà. Il sapore del proprio seme gli riempì la bocca: un misto di disgusto e piacere inebriante.

Il membro di Hia si muoveva all’interno di Kai, un ritmo potente e profondo che lo riempiva di un piacere intenso e travolgente. La parte intima di Kai era arrossata dalle spinte violente di Hia.

«Più… più forte…» ansimò Kai, la voce spezzata dal piacere.

«Dentro… più dentro…»

Hia si piegò su di lui, il suo respiro caldo sul collo di Kai.

«Dimmi… dimmi cosa vuoi…» sussurrò, la sua voce un ronzio di desiderio inebriante.

«Dimmi cosa ti fa piacere…»

Il suo corpo si muoveva su quello di Kai, un’onda di piacere che li travolgeva entrambi.

«Io… io… io voglio…» balbettò Kai. Era così in calore, così travolto dal desiderio che gli bruciava la pelle, che non riusciva a formulare una frase completa. Il respiro gli veniva corto e affannoso, il corpo tremava di un’eccitazione incontrollabile.

«Dimmi cosa vuoi» rispose Hia, la voce un velluto caldo che gli accarezzava l’anima.

«Dimmi, mio dolce animaletto…»

Hia gli sollevò il mento con un dito, un tocco leggero ma deciso, e lo baciò. Un bacio profondo, che prometteva un piacere selvaggio.

Prima che Kai potesse rispondere, lo allontanò leggermente, con un sorriso malizioso sulle labbra.

«Voglio... voglio essere scopato» sussurrò Kai, con la voce tremante di desiderio. «Prendimi... selvaggiamente... fammi godere... riempimi con il tuo sperma e mettimi incinta».

Hia rimase per un attimo senza parole, sorpreso e allo stesso tempo eccitato dall’audacia e dalla franchezza della richiesta. Ma la sua sorpresa lasciò presto spazio a un’ondata di piacere.

Incinta... mio... pensò Hia, mentre sulle sue labbra si dipingeva un sorriso malizioso.

Perfetto... se riuscissi a metterlo incinta, nostro figlio sarebbe davvero mio in tutto e per tutto. E non ci sarebbe nulla di più bello al mondo.

Quelle parole li risuonavano nella sua mente pensava tra se.

«Vuole che lo metta incinta? Non posso farlo, anche se è un omega. Chi se ne frega?  “Mi ha dato il permesso”, ma è sotto effetto di droga. Posso fecondarlo con il mio seme, dopo tutto… lui mi appartiene, non del tutto, ma lo desidero così tanto. Renderlo mio… ma non posso farlo senza il suo consenso, anche se sono un Alpha dominante. “Non sono così bastardo da macchiarlo”, penso. “Non sono così cattivo…” Ma l’ho drogato. “Mi basta solo scoparlo e riempirlo con il mio seme, e sentirlo gemere così forte."

Quelle parole gli risuonavano nella mente, ossessive, un tormento, un’eccitazione selvaggia che gli faceva pulsare il sangue nelle vene.  Pensava:  “Vuole che lo metta incinta.”  L’idea lo trafiggeva, un’onda di piacere e terrore. 

Hia pensava tra sé:

Vuole che lo metta incinta? Non posso farlo, anche se è un omega. Chi se ne frega… Mi ha dato il permesso, ma è sotto effetto di droga. Posso fecondarlo con il mio seme, dopotutto… lui mi appartiene, non del tutto, ma lo desidero così tanto. Renderlo mio… ma non posso farlo senza il suo consenso, anche se sono un Alpha dominante. Non sono così bastardo da macchiarlo… Non sono così cattivo…

Quelle parole gli rimbombavano nella mente. Il desiderio lo consumava, un’urgenza viscerale che gli faceva tremare le mani. Mi basta solo scoparlo e riempirlo con il mio seme, e sentirlo gemere così forte…

Kai gemeva, il piacere intenso:

«Perché ti sei fermato?»

Hia rispose con un gemito, concentrato sul corpo dell’omega, sentendo il battito frenetico del suo cuore.

Il calore della pelle di Kai contro il suo lo infiammava. Il lento movimento dei fianchi di Kai scatenava in Hia un’ondata di desiderio animalesco. I morsi lasciavano segni rossi sulla pelle, impronte visibili della passione.

Poi Hia leccò delicatamente la coscia di Kai, mordendo un dito con passione. Un gemito soffocato sfuggì dalle labbra di Kai.

Kai continuò a gemere:

«Continua… ti prego… più veloce… più profondo… Sento il tuo pene che mi dilata… è così intenso… così profondo…»

Lacrime di piacere rigavano il volto di Kai, il corpo teso in estasi.

«Ancora… più forte… riempimi… fino a farmi venire…»

Hia sentiva il corpo tremare sotto di lui, travolto dall’onda di piacere.

Erano in uno spazio piccolo, la macchina li avvolgeva, i vetri ricoperti di sudore, il lampione esterno illuminava la scena. Ogni spinta era accompagnata da gemiti, lamenti e grida soffocate. Era consensuale, ma selvaggio, intenso e viscerale.

Kai si aggrappò a Hia, le unghie lunghe e affilate gli si conficcarono nella schiena, lacerandogli la pelle. Il dolore acuto era nulla di fronte all’intensità del piacere selvaggio che Hia gli provocava. Il sangue caldo e viscido colava lungo la schiena di Hia, lasciando una traccia rossa sulla sua pelle pallida. L’unico suono che contava era il gemito di Kai, gutturale e vibrante, un segno della sua totale sottomissione.

Hia pensava tra sé: Siamo ancora al primo round… Forse dovrei fermarmi…

«Siamo ancora al primo round…», sussurrò Hia, la voce roca per il desiderio. «Forse dovrei fermarmi…»

Lo sperma di Kai, caldo e viscido, scivolava lungo il petto di Hia, mescolandosi al loro sudore. Il sedile, lacerato e rovinato, testimoniava l’intensità della loro passione.

Hia lo fissò, lo sguardo carico di possessività. Ogni morsa, ogni graffio sulle gambe, sulle braccia, sui capezzoli e sul collo, era un assaggio del suo desiderio oscuro e selvaggio. Un gemito di sottomissione gli sfuggì dalle labbra; voleva di più.

L’estrazione del pene causò una fuoriuscita di sperma, macchiando i pantaloni di Hia e il sedile dell’auto.

«Maledizione! Mi hai sporcato il sedile! L’avevo appena lavato!» esclamò Kai.

«Un altro round, piccolo… non sono ancora sazio», sussurrò Hia, le dita ruvide e possessive che stringevano un capezzolo. «Ti riempirò, ti dilaterò… fino a farti dimenticare ogni altro uomo. Sentirai il mio peso, la mia lingua… ti brucerò, ti farò urlare il mio nome. Ricorda: sei mio. Obbedisci.»

La bocca di Hia sfiorò il collo di Kai, un bacio profondo e vorace. Le lingue si intrecciarono in un vortice di passione inarrestabile.

Hia sfiorò il mento di Kai con un dito, poi scese lungo il suo corpo fino all’ombelico, disegnando cerchi lenti e sensuali. Mordicchiò e succhiò i capezzoli con violenza, lasciando un marchio indelebile del suo dominio.

«Chiudi gli occhi.»

Kai obbedì senza storie.

«È proprio un cagnolino ubbidiente», disse Hia con un sorrisetto malizioso. Dal cruscotto tirò fuori un sex toy dalla forma insolita.

Forse è troppo grosso… ma si merita una punizione per avermi sporcato il sedile, pensò Hia.

Hia legò i polsi di Kai con la cintura, una promessa di piacere e sofferenza.

«Cosa… cosa stai facendo?» sussurrò Kai, il corpo teso in attesa.

«Lasciati andare», ordinò Hia. Kai ubbidì, tremando impercettibilmente.

Hia estrasse un vibratore dal cruscotto, perfetto per la punizione.

«Questo è per te, piccolo», sibilò. «Preparati a ricevere la tua punizione…»

«Questo è solo l’inizio, tesoro», continuò Hia, chiudendo le manette sulle caviglie di Kai con un clic preciso. «Il tuo corpo è mio, e ti mostrerò cosa significa vero piacere.»

«Non sbirciare, piccolo monello, o la punizione sarà doppia.»

Una pausa carica di attesa, poi: «Lasciati travolgere dal vortice di piacere che ti offrirò.»

«Non trattenere i tuoi gemiti, piccolo; sono la mia musica. Preparati a scoprire quanto puoi sopportare e quanto puoi desiderare… Urla forte, perché i tuoi gemiti sono la mia droga.»

Un brivido di piacere e terrore lo percorse. Il membro di Kai si irrigidì, risposta involontaria al tormento dolce di Hia.

«Apri gli occhi…» sibilò Hia, la voce una carezza che nascondeva un’intenzione perversa.

Kai aprì gli occhi, vulnerabile e legato, le gambe divaricate. L’ano dilatato e umido era un invito alla dominazione. L’estasi imminente, un misto di piacere e dolore, lo travolse completamente.

Hia leccò la punta del vibratore, un gesto quasi sadico, e lo avvicinò all’ano di Kai, stuzzicandolo con precisione. Il brivido fu istintivo, un’ondata di piacere e terrore.

«Non fare il duro», sibilò Hia. «Rilassati, o ti farò davvero male.»

Il vibratore entrò dentro Kai, e Hia lo manovrava con ritmo selvaggio, spingendo a fondo e ritraendo con movimenti bruschi. Il respiro di Kai era affannoso, la sua eccitazione palpabile.

Dopo che Kai staccò i fili che tenevano in vita Kit, quest'ultimo ebbe un arresto cardiaco: il cuore si fermò per un secondo. Il motivo per cui Kai si fosse spinto così lontano nell'intento di ucciderlo restava un mistero.

Da allora, Kit era sotto costante osservazione medica e sotto inchiesta della polizia. Il detective della polizia di Bangkok, amico intimo della famiglia Sutharak, aveva dislocato uomini sia all'interno che all'esterno dell'ospedale, garantendo una sorveglianza continua. Da quell'episodio non si verificarono altri eventi significativi: Kit rimaneva in coma.

 Tong rimase in ospedale per alcuni giorni, non volendo lasciare il suo amico solo. Nonostante la presenza della polizia, non si fidava, soprattutto del detective Mark. Ogni giorno trovava la stanza invasa da fiori per il suo amico, ma li gettava sempre nella spazzatura. Oltre ai fiori, c’erano anche bigliettini, che stracciava e buttava via con i fiori.

«Stronzo», sibilò, «pensi di poter ingannare gli altri, ma non me. Se ti avvicini ancora a lui, ti uccido.»

Tong tirò fuori il cellulare, le mani tremanti, e compose il numero.

«Pronto! Quel bastardo è tornato! Sai cosa cazzo devi fare?! Non deludermi, o giuro che…»

La chiamata finì con un’impeto di rabbia repressa. Si lasciò cadere sulla sedia, lo sguardo fisso su Kit, intubato e immobile. Giorni infiniti da quell’incidente. La notizia lo aveva colpito come un pugno nello stomaco; era corso in ospedale, ma il dolore era troppo grande, la disperazione lo stava divorando. Il pensiero di dover dire a Kit che suo fratello era morto lo faceva tremare.

Sentì un clic, il girare lento della maniglia. Scattò in piedi. La porta si aprì lentamente. Si nascose dietro di essa, in attesa. Quando entrò, Tong era pronto ad aggredire, ma si fermò all’istante. Stava per uccidere l’infermiera. La donna, terrorizzata, lasciò cadere il vassoio con le siringhe e la flebo. Solo la flebo rimase intatta; le siringhe si frantumarono, i pezzi sparsi sul pavimento. Tong si scusò, la donna lo calmò, assicurandogli che non era successo nulla.

«Mi scusi, non volevo. Mi dispiace molto. Lasci che pulisca io; non voglio che si faccia male.» Tong prese scopa e paletta, raccogliendo i frammenti di siringa. L’infermiera lo ringraziò con un sorriso. Uscita per prendere altre siringhe, al ritorno trovò Tong che l’osservava intensamente mentre finiva il lavoro e lasciava la stanza.

Si fece sera. Tong, come sempre, puliva il corpo di Kit. Lo sguardo gli cadde sulla cicatrice nel petto: Kit era stato operato al cuore e necessitava di un trapianto urgente. Nell’incidente, un pezzo di metallo gli si era conficcato nel petto, vicino al cuore, compromettendo gravemente le sue condizioni. La tragedia non si era limitata a lui: il fratello aveva subito un destino ancora più crudele; il suo cervello aveva cessato di funzionare, ma alcuni organi erano ancora utilizzabili. Gli amici, dopo una difficile discussione, firmarono i moduli per il trapianto. Così, il cuore del fratello ora batteva nel petto di Kit.

Kai aprì gli occhi.

«Sei sveglio? Ero stanco di aspettare. Ora che sei sveglio, possiamo continuare da dove eravamo rimasti. Non mi aspettavo che perdessi i sensi dopo che ti ho penetrato con il vibratore. Forse dovrei usare questi giocattoli con te più spesso; il tuo corpo dovrà abituarsi. D’ora in poi ti preparerò meglio; non voglio che succeda di nuovo. Ho giocato da solo, mi sono divertito solo io, ma non è giusto.»

Kai balbettò:

«Tu… stronzo! Mi hai violentato mentre ero incosciente!»

Hia rise, spostandosi una ciocca di capelli per mostrare i bicipiti.

«Che altro avrei dovuto fare? Eri l’unico che poteva divertirmi. Tranquillo, non ti sono venuto dentro.»

Ma non era vero. Dallo sfintere anale di Kai colava sperma. Kai abbassò lo sguardo e vide lo sperma. È venuto dentro di me! pensò, il suo ano era rosso e gonfio.

Kai non riusciva a parlare; aveva la bocca secca. Non aveva bevuto quasi nulla da quando avevano iniziato a fare sesso; si sentiva la gola secca. Tossì. Hia se ne accorse, si girò, aprì il vano portaoggetti e tirò fuori una bottiglietta d’acqua. Dopo averla aperta, gli tenne fermo il mento e lo baciò, facendo scivolare l’acqua giù per la sua gola.

Kai lo spinse, ansimando:

«Ma che diamine fai?»

Hia si leccò le labbra, passandosi un dito su di esse, e disse:

«Lo sai che hai un buon sapore? Baci bene, nessuno te l’ha mai detto? Baci appassionatamente, volevi risucchiarmi la lingua, la tua non mollava la mia, e poi dici che sono io il perverso?»

Hia afferrò il mento di Kai con una presa possessiva. Il suo respiro caldo gli sfiorò l’orecchio prima che i denti mordessero il lobo, lasciando un’impronta bruciante. Kai emise un gemito gutturale, un suono selvaggio tra piacere e dolore. Hia gli leccò il lobo, la lingua che si muoveva con ferocia controllata, esplorando la pelle sensibile.

«Sei mio, capisci?» sussurrò, la voce roca dal desiderio, mentre la sua lingua scivolava lungo il collo di Kai, lasciando una scia di fuoco.

«Lo sai quanto sei appetitoso? Vorrei divorarti, centimetro per centimetro.»

«Con te non sono mai sazio; ho sempre voglia di esplorare ogni parte del tuo corpo. Qui, dietro l’orecchio, sei così sensibile; i tuoi fianchi tremano al mio tocco; e quando ti soffio sul collo, gemi.»

«Ogni centimetro di questo corpo è mio. E non sarò mai sazio. Questa fame… questa sete… solo tu puoi placarla. Il tuo respiro affannoso, i tuoi muscoli tesi, il tuo gemito… è una musica che mi fa impazzire. Senti come trema il tuo corpo? È mio.»

Le sue dita si intrecciarono tra i capelli di Kai, tirandoli leggermente, mentre la sua bocca continuava a esplorare il collo, lasciando un segno rosso vivo sulla pelle pallida.

Kai sussurrò, la voce spezzata dal pianto:

«Non ce la faccio più! Ti prego… il mio corpo è pieno di segni… non sei ancora soddisfatto? Vuoi distruggermi? Vuoi ancora di più?»

Colpì Hia sul petto con il pugno, le lacrime gli rigavano il viso.

«Lasciami andare! Lasciami andare!»

Hia sussurrò, la voce rauca:

«Shh… va tutto bene.»

Lo baciò sulla fronte, un gesto stranamente tenero.

«Ora sarò più dolce.»

L’alba stava per sorgere, un ultimo bagliore crepuscolare tingeva il cielo. Avevano fatto l’amore per tutta la notte. Kai dormiva profondamente sul sedile; Hia lo osservò. Lo coprì con una giacca e, una volta messo in moto, si diresse verso il suo appartamento. All’arrivo, alcuni uomini in completo nero lo attendevano: le sue guardie del corpo. Spense il motore, scese dalla macchina e aprì la portiera dove Kai dormiva. Lo sollevò con delicatezza, riparandolo da occhi indiscreti.

Quando una guardia sfiorò accidentalmente la gamba di Kai, Hia reagì con violenza fulminea. Con un pugno secco e preciso colpì l’uomo in faccia, estrasse la pistola con un movimento fluido e lo uccise.

«Fate sparire questo corpo», sibilò, la voce fredda come l’acciaio. «Se non eseguite i miei ordini, farete la sua stessa fine. Muovetevi!»

Entrò nell’edificio, chiamò l’ascensore e salì al suo appartamento. Chiuse la porta alle spalle e si diresse in camera da letto. Posò Kai sul letto, gli pulì il corpo con un panno umido e lo rivestì. Aprì l’armadio, un tesoro di oggetti di piacere, e prese una catena. La fissò alla caviglia di Kai, legandolo al letto.

Lo coprì con la trapunta, chiuse le tende per favorirgli il sonno e si avviò verso l’ampio bagno. Il pavimento di legno scricchiolò sotto i suoi passi. Aprì il rubinetto della doccia, lasciando scorrere l’acqua finché non divenne calda. Tornò in camera da letto: Kai dormiva profondamente. Prese una sigaretta e l’accendino dal comodino, uscì sul balcone e, accendendola, ammirò il panorama notturno.

Quando rientrò in camera era semi-nudo; indossava soltanto i pantaloni, che lasciavano intravedere i fianchi, i bicipiti e gli addominali. Il bagno era ormai avvolto dal vapore. Controllò la temperatura dell’acqua: era calda, esattamente come piaceva a lui.

„Me lo merito,“ mormorò, „un bel bagno caldo dopo tutto… il mio corpo puzza di piacere.“

Entrò sotto la doccia, lavandosi con cura quasi ossessiva. Insaponò più volte braccia, bicipiti e gambe, come se una sola passata non bastasse. Si lavò i capelli con la stessa attenzione, finché il vapore non lo avvolse completamente. Una volta terminato, uscì dalla doccia, indossò l’accappatoio, pulì lo specchio appannato e vi si specchiò per qualche istante. Poi si lavò i denti, si asciugò i capelli, osservò i graffi sulla sua schiena e tornò in camera.

Rimase in accappatoio, si sistemò comodamente sul letto e accese la televisione.

Erano le 22:00 in Thailandia. Kai si agitava nel sonno, svegliando Hia, che si era assopito davanti allo schermo acceso. I suoi gemiti continui lo fecero sobbalzare.

„Che diamine sta succedendo?“ si chiese Hia, notando Kai madido di sudore e in preda a un incubo. Non appena lo toccò, trasalì. „Perché scotti così tanto?“

Gli tolse la trapunta e vide il corpo di Kai arrossato, bollente. Ordinò a Siri di accendere la luce: la stanza fu subito illuminata. Scese dal letto, inciampando quasi nell’accappatoio, e corse in bagno. Riempì un panno d’acqua, lo strizzò e iniziò a tamponare il corpo di Kai, asciugandogli il sudore nella speranza di abbassargli la febbre.

Prese una bacinella, la riempì di acqua calda e tornò in camera. La posò con delicatezza sul comodino, poi gli tolse i vestiti, lasciandogli solo i boxer. Tremava. Hia lo guardò, colto da un istinto che non riusciva a domare. Mandò giù un nodo alla gola.

Non posso farlo. Non posso. Devo tenere a freno il mio istinto di Alpha, si disse, schiaffeggiandosi leggermente per riprendere il controllo.

Ma la febbre di Kai gli faceva rilasciare intensi feromoni, inondando la stanza. Hia lottava contro l’impulso di cedere, ma la ragione vacillava. Quei feromoni scatenavano in lui un misto di rabbia ed eccitazione, e il desiderio di dominare Kai diventava quasi insopportabile.

Mordendosi il labbro per reprimere l’istinto, immerse il panno nell’acqua calda, lo strizzò e iniziò a passarlo delicatamente sul corpo di Kai: braccia, collo, viso, gambe. Poi lo fece sedere per asciugargli la schiena fradicia, mentre le lenzuola, ormai umide, lasciavano intravedere il contorno del suo corpo.

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